Cass. 5/5/2015 n. 8961
Diritto processuale: la Suprema Corte di Cassazione, accogliendo il motivo di ricorso del danneggiato, ha affermato i seguenti principi di diritto assolutamente innovativi: una volta che la Cassazione riscontri il vizio della sentenza di primo grado, allora pronunciata dal Pretore, per difetto di integrità del contraddittorio e conseguentemente accolga il motivo di ricorso concernente il vizio della sentenza di secondo grado che, anziché fare applicazione dell’art. 354 c.p.c., decida nel merito e rimetta le parti davanti al giudice di primo grado che, essendo stato frattanto soppresso l’ufficio del Pretore, ha finito per coincidere con il Tribunale, già giudice d’appello e questi abbia deciso la causa come giudice del rinvio – ai sensi dell’art. 383, comma 3, c.p.c., in relazione all’art. 354, comma 1, c.p.c., avverso la sua sentenza, emessa per la prima volta a contraddittorio integro, il rimedio esperibile è quello ordinario dell’appello.
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App. Roma 18/3/2015
Legge Pinto e durata irragionevole del processo: risarcimento del danno di € 2.750,00.
La Corte di Appello, accogliendo l’opposizione del danneggiato che aveva visto respingere il suo ricorso, ha affermato che:
• il giudice, in caso di rilevata incompletezza della documentazione prodotta, non può rigettare il ricorso ma deve ordinare al ricorrente l’integrazione della stessa;
• il ricorrente, vistosi respinta la domanda per la sua insufficiente documentazione, può produrre gli atti e i documenti mancanti nella successiva fase d’opposizione.
La Suprema Corte di Cassazione, soltanto successivamente, ha confermato per la prima volta tali principi ed ha affermato che:
• “ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 1, va dunque formulato il seguente principio di diritto: “soggiace al termine perentorio stabilito dalla L. n. 89 del 2001, art. 4 unicamente il deposito nella cancelleria della Corte d’appello adita di un ricorso avente i requisiti di cui all’art. 125 c.p.c., richiamato dall’art. 3, comma 1 stessa legge. Pertanto, il deposito degli atti e dei documenti elencati nel terzo comma del medesimo articolo può sopravvenire in qualunque momento utile, prima che il presidente della Corte o il consigliere da lui designato provvedano con decreto sulla domanda, ovvero nel termine eventualmente concesso ai sensi dell’art. 640 c.p.c., comma 1, richiamato dal successivo quarto comma dello stesso art. 3”;
• “respinta la domanda con decreto L. n. 89 del 2001, ex art. 3, comma 6 per la sua insufficiente documentazione, il ricorrente può produrre gli atti e i documenti mancanti nella successiva fase d’opposizione, che per la sua natura pienamente devolutiva non subordina l’esercizio di tale facoltà ad alcuna previa concessione, ora per allora, di quel medesimo termine non concesso ai sensi dell’art. 640 c.p.c., comma 1”.
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Cass. 6/11/2014 n. 23745
Legge Pinto e durata irragionevole del processo: la durata del processo è irragionevole se lo stesso viene definito in un solo grado in un tempo superiore a tre anni; in tal caso alla parte va liquidato il danno non patrimoniale.
La normativa rilevante per la questione trattata, nel testo vigente dal 12/8/2012, è la seguente:
– art. 2, comma 2-bis, L. 24/3/2001 n. 89 che dispone: “Si considera rispettato il termine ragionevole di cui al comma 1 se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità. Ai fini del computo della durata il processo si considera iniziato con il deposito del ricorso introduttivo del giudizio ovvero con la notificazione dell’atto di citazione. Si considera rispettato il termine ragionevole se il procedimento di esecuzione forzata si è concluso in tre anni, e se la procedura concorsuale si è conclusa in sei anni. Il processo penale si considera iniziato con l’assunzione della qualità di imputato, di parte civile o di responsabile civile, ovvero quando l’indagato ha avuto legale conoscenza della chiusura delle indagini preliminari”;
– art. 2, comma 2-ter, L. 24/3/2001 n. 89 che dispone: “Si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni”.
La totalità dei giudici della Corte di Appello capitolina della sezione equa riparazione hanno ritenuto che la norma di cui all’art. 2, comma 2-ter, L. 24/3/2001 n. 89, secondo cui “Si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni” va interpretato, a dispetto della precedente disposizione (che stabilisce il timing per ciascun grado di giudizio), nel senso che se il giudizio dura, in un solo grado sei anni è rispettato il termine ragionevole.
L’avv. Michele Liguori è stato il primo avvocato a contrastare tale orientamento restrittivo con impugnative ad hoc e ad invocare, a sostegno delle tesi opposte da esso sostenute, una lettura ed interpretazione in combinato disposto di dette disposizioni volta sia ad individuare quella che è la ratio e l’intenzione del legislatore, sia a superare le eventuali distonie o criticità del sistema.
L’avv. Michele Liguori, in particolare, ha sostenuto che in base a tale interpretazione devono ritenersi:
– da un lato fermi i limiti di ragionevole durata del processo stabiliti dall’art. 2, comma 2-bis, L. 24/3/2001 n. 89 nei vari gradi di giudizio e, cioè “di tre anni in primo grado, di due anni in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità” che, tra l’altro, sono quelli costantemente affermati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo (tra le molte: Corte Europea 23/10/2003, relativa al ricorso n. 39758/98) e recepiti dal ns. ordinamento e dal diritto vivente;
– dall’altro lato che la successiva previsione dell’art. 2, comma 2-ter, L. 24/3/2001 n. 89 (“Si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni”) è una deroga alla precedente disposizione concernente la durata massima del procedimento riferita esclusivamente alla diversa ipotesi, che qui non ricorre, che il processo (penale o civile) si sia svolto effettivamente in tutti e tre i gradi di giudizio (e non in uno solo) e sia durato complessivamente sei anni, proprio al fine di compensare l’eccessiva protrazione di un grado di giudizio con la maggiore celerità dell’altro.
Dopo il rigetto di varie opposizioni da esso proposte, ex art. 5 ter L. 24/3/2001 n. 89, con conseguente avallo dell’orientamento restrittivo da parte del Collegio della Corte di Appello di Roma (App. Roma 5/12/2013; App. Roma 5/12/2013; App. Roma 11/12/2013) l’avv. Michele Liguori è stato il primo avvocato a portare la questione innanzi alla Suprema Corte di Cassazione e ad ottenere, a tutt’oggi, la conferma della bontà delle tesi da esso sostenute.
La Suprema Corte di Cassazione, infatti, nella causa patrocinata dall’avv. Michele Liguori ha accolto il ricorso ed ha affermato che “la L. n. 89 del 2001, art. 2, comma 2-bis, introdotto dal D.L. n. 83 del 2012, art. 55, comma 1, convertito con modificazioni dalla L. n. 134 del 2012, prevede che “si considera rispettato il termine ragionevole (…) se il processo non eccede la durata di tre anni in primo grado, di due in secondo grado, di un anno nel giudizio di legittimità”; che in questo senso la norma recepisce i parametri di durata fissati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo ed applicati dalla giurisprudenza di questa Corte (tra le tante, Sez. 1, 5 dicembre 2011, n. 25955; Sez. 6-1, 7 settembre 2012, n. 15041); che alla previsione contenuta nel comma 2-bis fa seguito il comma 2- ter, ai sensi del quale “si considera comunque rispettato il termine ragionevole se il giudizio viene definito in modo irrevocabile in un tempo non superiore a sei anni”; che quest’ultima disposizione va interpretata in continuità con il comma che la precede: essa – nel mantenere fermi i limiti di durata ragionevole fissati nel comma 2-bis – lungi dall’allungare a sei anni il periodo di definizione di un processo che si sia esaurito in un unico grado di giudizio, detta una norma di chiusura, introducendo (anche qui, in linea con i risultati dell’elaborazione giurisprudenziale: Sez. 1, 13 aprile 2006, n. 8717; Sez. 1, 4 luglio 2011, n. 14534) una valutazione sintetica e complessiva del processo che si sia articolato in tre gradi di giudizio, consentendo così di escludere la configurabilità del superamento del termine di durata ragionevole tutte le volte in cui la durata dell’intero giudizio, nei suoi tre gradi, sia contenuta nel parametro complessivo di sei anni, e di trascurare, al contempo, il superamento registrato in un grado quando questo sia stato compensato da un iter più celere rispetto allo standard nel grado precedente o successivo; che la diversa interpretazione offerta dai giudici del merito finisce con porsi in contrasto, oltre che con la lettera della disposizione nel suo complesso, con i principi costantemente affermati dalla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo” (Cass. 6/11/2014 n. 23745).
Il principio, successivamente, è stato riaffermato dalla Suprema Corte di Cassazione anche nelle seguenti ulteriori decisioni relative a cause patrocinate dall’avv. Michele Liguori:
– Cass. 7/11/2014 n. 23887;
– Cass. 6/11/2014 n. 23746.
Il principio, successivamente, è stato affermato anche dalla Corte Costituzionale che ha precisato che “il termine di sei anni indicato nella norma impugnata si applica ai soli procedimenti che in concreto si siano svolti in tre gradi di giudizio, al fine di compensare l’eccessiva protrazione di una fase con la maggiore celerità dell’altra” (Corte Cost. 8/9/2016 n. 208; conf. Corte Cost. 19/2/2016 n. 36).
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Trib. Napoli 21/3/2013 n. 3812
Responsabilità medica e sanitaria: la natura della responsabilità del medico dipendente o collaboratore della struttura sanitaria, pubblica o privata, non è cambiata dopo il decreto Balduzzi in quanto è sempre contrattuale anche se fondata sul contatto sociale
L’art. 3, 1° comma, D.L. 13/9/2012 n. 158, convertito, con modificazioni, in L. 8/11/2012 n. 189, dispone che: “L’esercente la professione sanitaria che nello svolgimento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’articolo 2043 del codice civile. Il giudice, anche nella determinazione del risarcimento del danno, tiene debitamente conto della condotta di cui al primo periodo”.
Una parte degli operatori ha ritenuto che il legislatore con tale norma, quasi con una sorta di interpretazione autentica, ha inteso fornire all’interprete una precisa indicazione nel senso che, al di fuori dei casi in cui il paziente sia legato al professionista da un rapporto contrattuale (come avviene nell’ipotesi del medico dipendente della struttura pubblica in cui opera), il criterio attributivo della responsabilità civile al medico (e agli altri esercenti una professione sanitaria) non si fonda sulle norme sui contratti ed, in particolare, sul contatto sociale, ma va individuato in quello della responsabilità da fatto illecito, ex art. 2043 c.c., con tutto ciò che ne consegue sia in tema di riparto dell’onere della prova, sia di termine di prescrizione quinquennale del diritto al risarcimento del danno (la prima decisione nota è Trib. Enna 18/5/2013 n. 252; conf., Trib. Milano 17/7/2014 che si segnala per la ricchezza della motivazione).
L’avv. Michele Liguori è stato uno dei primi avvocati a sostenere e veder riconosciuti, in una causa da esso patrocinata, i principi secondo cui:
– la disposizione di cui all’art. 3, 1° comma, D.L. 13 settembre 2012 n. 158 regola la diversa fattispecie della responsabilità penale dell’esercente la professione sanitaria;
– la materia della responsabilità civile dell’esercente la professione sanitaria, sia esso persona fisica (medico dipendente o collaboratore della struttura sanitaria, pubblica o privata e figure affini), sia esso persona giuridica (struttura sanitaria, pubblica o privata), non è mutata a seguito dell’art. 3, 1° comma, D.L. 13/9/2012 n. 158 e segue, pertanto, le sue regole consolidate anche e soprattutto per la responsabilità contrattuale e da contatto sociale (Trib. Napoli 21/3/2013 n. 3812).
Il principio, successivamente, è stato confermato da altri giudici di merito nelle seguenti ulteriori decisioni relative a cause patrocinate dall’avv. Michele Liguori:
– Trib. Napoli 2/11/2015 n. 13839;
– Trib. Napoli 13/5/2015 n. 7182;
– Trib. Napoli 13/5/2015 n. 7179;
– Trib. Napoli 21/11/2014 n. 15467;
– Trib. Benevento 8/10/2014 n. 2556;
– Trib. Napoli 5/6/2014 n. 8334.
L’avv. Michele Liguori, in materia, ha pubblicato i seguenti articoli:
– Responsabilità medica e sanitaria: il decreto Balduzzi non è retroattivo, in www.ridare.it, 7/1/2016;
– La natura della responsabilità medica e sanitaria dopo il decreto Balduzzi, in ww.ridare.it, 26/3/2015.
Leggi sentenza
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Trib. Torre Annunziata, sez. dist. C/Mare di Stabia, 13/2/2013 n. 106
Codice del consumo, autostrada, danni all’utente e competenza per territorio: il rapporto tra società concessionaria dell’autostrada ed utente va qualificato come contratto tra professionista e utente-consumatore con conseguente applicazione, nelle cause di responsabilità, del foro dell’utente-consumatore e presunzione di responsabilità a carico della società concessionaria che, in mancanza di prova liberatoria, deve risarcire i danni subiti dall’utente-consumatore
L’avv. Michele Liguori è stato uno dei primi avvocati a sostenere e veder riconosciuti, in una causa da esso patrocinata, i principi secondo cui:
– il rapporto tra società concessionaria dell’autostrada ed utente, mediante il pagamento del pedaggio, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale con conseguente applicazione, nelle cause di responsabilità, del foro dell’utente-consumatore;
– nell’ambito delle obbligazioni assunte dalla società concessionaria dell’autostrada deve ritenersi sicuramente inclusa quella di costante e diligente vigilanza, sicurezza ed attivo controllo della carreggiata al fine di prevenire ed impedire eventi dannosi o pericolose situazioni di pericolo per l’incolumità degli utenti con conseguente presunzione di responsabilità, in caso di danni, a carico della società che, in mancanza di prova liberatoria, deve risarcire i danni subiti dall’utente (Trib. Torre Annunziata, sez. dist. C/Mare di Stabia, 13/2/2013 n. 106).
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Cass. 21/4/2011 n. 9140
Assicurazione obbligatoria della RCA, Codice delle Assicurazioni, sinistro cagionato da veicolo identificato e proponibilità dell’azione risarcitoria: in tema di assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore e di azione diretta del danneggiato nei confronti dell’impresa di assicurazione per danni cagionati da veicolo identificato si applicano per la proponibilità della domanda le norme vigenti al momento dell’invio della c.detta messa in mora e non quelle vigenti al momento della proposizione della domanda
La normativa rilevante per la questione trattata è la seguente:
– art. 22 L. 24/12/1969 n. 990 che dispone: “L’azione per il risarcimento di danni causati dalla circolazione dei veicoli o dei natanti, per i quali a norma della presente legge vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni da quello in cui il danneggiato abbia chiesto all’assicuratore il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, anche se inviata per conoscenza o, nelle ipotesi previste dall’art. 19, comma primo, lettere a) e b) , all’impresa designata a norma dell’art. 20 o alla Consap – Concessionaria servizi assicurativi pubblici S.p.A., gestione autonoma del “Fondo di garanzia per le vittime della strada”. Il danneggiato che, nell’ipotesi prevista dall’art. 19, comma primo, lettera a) , abbia fatto la richiesta all’impresa designata o all’istituto predetto, non è tenuto a rinnovare la richiesta stessa qualora successivamente venga identificato l’assicuratore del responsabile” (articolo abrogato dall’art. 354, 1° comma, D.lgs. 7/9/2005 n. 209);
– art. 145, 1° comma, D.lgs. 7/9/2005 n. 209 (Codice delle Assicurazioni private) che dispone: “Nel caso si applichi la procedura di cui all’ articolo 148, l’azione per il risarcimento dei danni causati dalla circolazione dei veicoli e dei natanti, per i quali vi è obbligo di assicurazione, può essere proposta solo dopo che siano decorsi sessanta giorni, ovvero novanta in caso di danno alla persona, decorrenti da quello in cui il danneggiato abbia chiesto all’impresa di assicurazione il risarcimento del danno, a mezzo lettera raccomandata con avviso di ricevimento, anche se inviata per conoscenza, avendo osservato le modalità ed i contenuti previsti all’ articolo 148”;
– art. 148, 1° e 2° comma, D.lgs. 7/9/2005 n. 209 che dispone:
“Per i sinistri con soli danni a cose, la richiesta di risarcimento deve recare l’indicazione degli aventi diritto al risarcimento e del luogo, dei giorni e delle ore in cui le cose danneggiate sono disponibili, per non meno di cinque giorni non festivi, per l’ispezione diretta ad accertare l’entità del danno. Entro sessanta giorni dalla ricezione di tale documentazione, l’impresa di assicurazione formula al danneggiato congrua e motivata offerta per il risarcimento, ovvero comunica specificatamente i motivi per i quali non ritiene di fare offerta. Il termine di sessanta giorni è ridotto a trenta quando il modulo di denuncia sia stato sottoscritto dai conducenti coinvolti nel sinistro. Il danneggiato può procedere alla riparazione delle cose danneggiate solo dopo lo spirare del termine indicato al periodo precedente, entro il quale devono essere comunque completate le operazioni di accertamento del danno da parte dell’assicuratore, ovvero dopo il completamento delle medesime operazioni, nel caso in cui esse si siano concluse prima della scadenza del predetto termine. Qualora le cose danneggiate non siano state messe a disposizione per l’ispezione nei termini previsti dal presente articolo, ovvero siano state riparate prima dell’ispezione stessa, l’impresa, ai fini dell’offerta risarcitoria, effettuerà le proprie valutazioni sull’entità del danno solo previa presentazione di fattura che attesti gli interventi riparativi effettuati. Resta comunque fermo il diritto dell’assicurato al risarcimento anche qualora ritenga di non procedere alla riparazione.
L’obbligo di proporre al danneggiato congrua e motivata offerta per il risarcimento del danno, ovvero di comunicare i motivi per cui non si ritiene di fare offerta, sussiste anche per i sinistri che abbiano causato lesioni personali o il decesso. La richiesta di risarcimento deve essere presentata dal danneggiato o dagli aventi diritto con le modalità indicate al comma 1. La richiesta deve contenere l’indicazione del codice fiscale degli aventi diritto al risarcimento e la descrizione delle circostanze nelle quali si è verificato il sinistro ed essere accompagnata, ai fini dell’accertamento e della valutazione del danno da parte dell’impresa, dai dati relativi all’età, all’attività del danneggiato, al suo reddito, all’entità delle lesioni subite, da attestazione medica comprovante l’avvenuta guarigione con o senza postumi permanenti, nonché dalla dichiarazione ai sensi dell’articolo 142, comma 2, o, in caso di decesso, dallo stato di famiglia della vittima. L’impresa di assicurazione è tenuta a provvedere all’adempimento del predetto obbligo entro novanta giorni dalla ricezione di tale documentazione”.
La totalità dei giudici del Tribunale partenopeo ed alcuni giudici degli altri fori italiani hanno ritenuto applicabile la più recente normativa relativa alla proponibilità della domanda giudiziale (artt. 145 e 148 D.lgs. 7/9/2005 n. 209) anche ai sinistri verificatisi prima dell’entrata della stessa (sinistri verificatisi fino al 31/12/2005) e per i quali era stata già rispettata la precedente, diversa e meno rigorosa normativa sulla proponibilità della domanda (art. 22 L. 24/12/1969 n. 990).
Tali giudici hanno ritenuto, infatti, applicabile la nuova normativa relativa alla proponibilità della domanda giudiziale a tutte le domande giudiziali proposte dopo l’entrata in vigore del Codice delle Assicurazioni private sostanzialmente per le seguenti argomentazioni, già prospettate, in dottrina, da un noto e pur valente magistrato partenopeo (M. Criscuolo, La nuova R.C. auto dopo la riforma delle assicurazioni, II, Pozzuoli (NA), Simone, 2006, 109 e segg. e, in particolare, 117 e 118) quali:
• l’abrogazione delle norme previgenti comporta l’applicabilità immediata del nuovo disposto di cui agli artt. 145 e 148 D.lgs. 7/9/2005 n. 209, relativo alla proponibilità della domanda, per tutte le domande proposte a partire dal dì 1/1/2006, ancorché riferite a fatti pregressi;
• non vale invocare il principio tempus regit actum, in quanto la messa in mora è atto a carattere sostanziale che si pone al di fuori del processo, condizionandone unicamente la proponibilità e deve essere valutata in base alla legge processuale vigente all’epoca dell’introduzione del processo;
• quando il legislatore ha voluto prevedere un diverso ambito temporale di applicazione, lo ha espressamente indicato, come nel regolamento di attuazione del sistema del c.detto indennizzo diretto, di cui agli artt. 149 e 150 D.lgs. 7/9/2005 n. 209 (la prima decisione nota è: Trib. Napoli 17/10/2006, in Corr. di merito, 2006, 12, 1389).
L’avv. Michele Liguori è stato il primo avvocato a contrastare tale orientamento restrittivo con impugnative ad hoc e ad invocare, a sostegno delle tesi opposte da esso sostenute, l’irragionevole violazione dei seguenti principi di diritto:
• il principio generale della irretroattività della legge;
• l’irretroattività del D.lgs. 7/9/2005 n. 209 per i contratti conclusisi prima dell’entrata in vigore dello stesso;
• la teoria dei diritti quesiti;
• la natura sostanziale delle nuove norme;
• il principio costituzionale del libero esercizio dei diritti;
• il principio costituzionale della ragionevolezza delle norme e delle varie parti dell’ordinamento.
Dopo il rigetto dell’appello da esso proposto con conseguente avallo dell’orientamento restrittivo da parte della Corte di Appello di Napoli (App. Napoli 3/3/2008 n. 812) l’avv. Michele Liguori è stato il primo avvocato a portare la questione innanzi alla Suprema Corte di Cassazione e ad ottenere la conferma della bontà delle tesi da esso sostenute.
La Suprema Corte di Cassazione, infatti, nella causa patrocinata dall’avv. Michele Liguori ha accolto il ricorso ed ha affermato che “in tema di assicurazione obbligatoria della responsabilità civile derivante dalla circolazione dei veicoli, una volta rispettati i requisiti di forma e di contenuto nonché lo spatium deliberandi in vigore al momento dell’invio della messa in mora, ai sensi della L. n. 990 del 1969, art. 22, nessuna rilevanza assumono, ai fini della proponibilità della domanda risarcitoria, le nuove prescrizioni relative alla stessa messa in mora e allo spatium deliberandi dettate dal D.lgs. n. 209 del 2005, artt. 145 e 148, di talché il danneggiato, ancorché agisca in giudizio dopo il 31 dicembre del 2005, non è tenuto a reiterare la richiesta nel rispetto della nuova normativa” (Cass. 21/4/2011 n. 9140).
Il principio, successivamente, è stato confermato da altri giudici di merito nelle seguenti ulteriori decisioni relative a cause patrocinate dall’avv. Michele Liguori:
– Trib. Napoli 16/4/2015 n. 5612;
– Trib. Napoli 14/4/2014 n. 6646, in banca dati Giuffrè;
– Trib. Napoli 18/6/2013 n. 7890;
– Trib. Napoli 7/6/2013 n. 8658;
– Trib. Napoli 14/3/2013 n. 3403;
– Trib. Napoli 30/10/2012 n. 11695;
– Trib. Napoli 16/12/2011 n. 13659;
– Trib. Napoli 20/10/2011 n. 11339.
L’avv. Michele Liguori, in materia, ha pubblicato i seguenti articoli:
– La proponibilità della domanda di risarcimento del danno tra vecchio e nuovo regime della Rca, in Resp. Civ., 2007, 10, 833;
– Le (nuove) azioni di risarcimento del danno esperibili dalle vittime di incidenti stradali e nautici, in Resp. Civ., 2007, 7, 643;
– Risarcimento danni, codice delle assicurazioni, problemi di diritto intertemporale, in www.altalex.com, 3/4/2007.
Cass. 26/2/2009 n. 4745
Codice del consumo, giochi e giostre, danni all’utente e competenza per territorio: il rapporto tra società che gestisce un acquascivolo all’interno di un parco giuochi e utente va qualificato come contratto tra professionista e utente-consumatore con conseguente applicazione, nelle cause di responsabilità, del foro dell’utente-consumatore
L’avv. Michele Liguori è stato uno dei primi avvocati a sostenere e veder riconosciuti, in una causa da esso patrocinata, i principi secondo cui:
– le norme del D.lgs. 6/9/2005 n. 206 (Codice del consumo), previste per alcune categorie di contratti, si applicano anche a tutti gli altri contratti tra consumatore e professionista anche se non espressamente disciplinati dallo stesso Codice;
– il rapporto tra società che gestisce un acquascivolo all’interno di un parco giuochi e utente, mediante il pagamento del biglietto, determina l’instaurazione di un vincolo negoziale con conseguente applicazione, nelle cause di responsabilità, del foro dell’utente-consumatore
La Suprema Corte di Cassazione, infatti, nella causa patrocinata dall’avv. Michele Liguori ha accolto il ricorso ed ha affermato che “le specifiche previsioni relative ad alcune categorie di contratti contenute nel codice di consumo rispondono all’esigenza di apprestare una più forte tutela al consumatore in situazioni di particolare debolezza in cui egli si trova nel concludere dati contratti, ma certamente non limitano l’applicabilità della normativa di tutela del consumatore alle sole categorie di contratti previste dal codice del consumo. La disposizione di tutela del consumatore dettata dall’art. 33, comma 2, lett. u), del codice del consumo si applica infatti al contratto tra consumatore e professionista e ad ogni contratto, nessuno escluso, che abbia ad oggetto, per quanto interessa qui, un servizio offerto dal professionista, di cui il consumatore è ammesso a fruire su base contrattuale” (Cass. 26/2/2009 n. 4745).
Il principio, successivamente, è stato confermato da altro giudice di merito nella seguente ulteriore decisione relativa a causa patrocinata dall’avv. Michele Liguori: Trib. Torre Annunziata, sez. dist. C/Mare di Stabia, 13/2/2013 n. 106.
Leggi sentenza
Trib. Roma 20/11/2008 n. 22977
Risarcimento del danno non patrimoniale terminale da invalidità permanente: il danno non patrimoniale (biologico e morale) terminale da invalidità permanente e, cioè, quello subito in vita da persona con stabilizzazione dei postumi e successivamente deceduta in conseguenza di lesioni provocatele dall’altrui fatto illecito è risarcibile in capo al de cuius e trasmissibile ai suoi eredi
L’avv. Michele Liguori è stato il primo avvocato a richiedere ed ottenere, in una causa da esso patrocinata, il risarcimento del danno non patrimoniale (biologico e morale) terminale da invalidità permanente – e, cioè, quello subito in vita da persona con stabilizzazione dei postumi e successivamente deceduta in conseguenza di lesioni provocatele dall’altrui fatto illecito – in capo al de cuius e trasmissibile ai suoi eredi.
Il Tribunale di Roma, infatti, in tale causa patrocinata dall’avv. Michele Liguori ha accolto la domanda ed ha liquidato per milleduecento giorni di sopravvivenza del soggetto in coma apallico, con I.P. stabilizzata del 100%, per il danno non patrimoniale da invalidità permanente subito in vita dal de cuius e trasmesso ai suoi eredi, l’importo di € 540.000,00 (Trib. Roma 20/11/2008 n. 22977).
La Suprema Corte di Cassazione soltanto un anno dopo tale precedente ha affermato per la prima volta che “qualora si accerti che taluno a causa del fatto del terzo (nella specie di un sanitario) e con decorrenza da tale fatto, è vissuto – prima del decesso – per un certo periodo, in stato di coma, con una incapacità del 99% e lo stesso ha subito anche un danno per invalidità permanente, è autonomamente risarcibile avendo, prima della morte, il danneggiato acquisito il diritto al risarcimento anche di tale voce di danni lo stesso è acquisito, “iure hereditatis”, dai suoi eredi al momento della sua morte. La circostanza che a distanza di un certo numero di giorni (nella specie 1.140) dal fatto dannoso, e proprio in conseguenza di quel fatto, il danneggiato sia deceduto deve essere tenuto presente dai giudici del merito nella valutazione del quantum del risarcimento (che, pertanto, non può essere rapportato alla durata, ipotetica, della vita del danneggiato ma deve essere liquidato tenendo conto l’effettiva durata della vita residua della parte), ma non giustifica (come operato nella specie dal giudice del merito) in alcun modo il totale azzeramento della detta voce di danno” (Cass. 30/9/09 n. 20966).
Il principio, successivamente, è stato confermato da altri giudici di merito nelle seguenti ulteriori decisioni relative a cause patrocinate dall’avv. Michele Liguori:
– Trib. Napoli 16/9/2013 n. 10285; il giudice, in tale caso, ha liquidato per millenovecentoquarantadue giorni di sopravvivenza in condizioni di tetraparesi spastica, con I.P. stabilizzata del 100%, per il danno non patrimoniale subito in vita dal de cuius e trasmesso ai suoi eredi, l’importo di € 280.000,00;
– Trib. Napoli 21/2/2011 n. 2053; il giudice, in tale caso, ha liquidato per tre giorni di sopravvivenza in coma profondo, con I.P. stabilizzata del 100%, per il danno non patrimoniale subito in vita dal de cuius e trasmesso ai suoi eredi, l’importo € 500.000,00.
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Cass. 15/7/2008 n. 19445
Risarcimento del danno patrimoniale da lucro cessante da inabilità permanente: il danno patrimoniale da lucro cessante da inabilità permanente è risarcibile anche al giovane soggetto disoccupato
L’avv. Michele Liguori è stato uno dei primi avvocati a sostenere e veder riconosciuto, in una causa da esso patrocinata, il principio secondo cui il danno da lucro cessante da inabilità permanente va liquidato anche al giovane soggetto disoccupato.
La domanda risarcitoria proposta in tale causa il lontano il 3/6/1992 e relativa a tale posta del danno è stata rigettata sia dal Tribunale di Torre Annunziata che dalla Corte di Appello di Napoli in quanto non era stata fornita “una prova rigorosa ai sensi dell’art. 2697 c.c.” della suddetta voce di danno e rilevando “per incidens, che il predetto aveva tredici anni all’epoca del sinistro e che all’epoca della seconda CTU aveva ventiquattro anni ed era ancora disoccupato” (App. Napoli 4/6/2004 n. 1849).
Dopo il rigetto dell’appello l’avv. Michele Liguori è stato uno dei primi avvocati a portare la questione innanzi alla Suprema Corte di Cassazione e ad ottenere la conferma della bontà delle tesi da esso sostenute.
La Suprema Corte di Cassazione, infatti, nella causa patrocinata dall’avv. Michele Liguori ha accolto il ricorso ed ha affermato che “l’essere disoccupati a ventiquattro anni è di per sé un evento ininfluente sulla valutazione dell’an debeatur e del quantum relativi al risarcimento del danno sia perché, normalmente, la disoccupazione non è frutto di una scelta di vita ma è imposta da situazioni contingenti che, si auspica, verranno superate, sia perché essa rappresenta un dato dal carattere ambivalente, potendo la disoccupazione essere stata causata dalle non perfette condizioni fisiche del soggetto che possono rappresentare un ostacolo all’impiego, soprattutto nelle situazioni e nei luoghi di disagio occupazionale, ove si richiede la massima flessibilità nell’offerta delle prestazioni lavorative e l’adattabilità del lavoratore a svolgere la più ampia gamma di compiti. Lo stato di disoccupazione, potrebbe quindi, costituire parte o evidenza del danno, anziché dimostrarne l’insussistenza” (Cass. 15/7/08 n. 19445).
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Trib. Napoli 30/5/2008 n. 6364
Assicurazione obbligatoria della RCA, Codice delle Assicurazioni, sinistro cagionato da veicolo non identificato e proponibilità della domanda: in tema di assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore e di azione diretta del danneggiato nei confronti dell’impresa designata per danni cagionasti da veicolo non identificato per la proponibilità della domanda non si applicano le norme di cui agli artt. 145 e 148 bensì quella di cui all’art. 287, 1° comma, D.lgs. 7/9/2005 n. 209 (Codice delle Assicurazioni private)
L’avv. Michele Liguori è stato uno dei primi avvocati a sostenere e veder riconosciuto, in una causa da esso patrocinata, il principio secondo cui in tema di assicurazione obbligatoria dei veicoli a motore e di azione diretta del danneggiato nei confronti dell’impresa designata per danni cagionati da veicolo non identificato ai fini della proponibilità della domanda non si applicano le norme di cui agli artt. 145 e 148 (previste per le diverse ipotesi di danni cagionati da veicoli identificati) bensì quella di cui all’art. 287, 1° comma, D.lgs. 7/9/2005 n. 209 (Trib. Napoli 30/5/2008 n. 6364).
Il principio, successivamente, è stato confermato da altri giudici di merito nelle seguenti ulteriori decisioni relative a cause patrocinate dall’avv. Michele Liguori:
– Trib. Napoli 20/4/2015 n. 6819;
– Trib. Napoli 25/3/2015 n. 4511;
– Giud. pace Napoli 26/5/2014 n. 19294, in www.unarca.it;
– Trib. Napoli 7/6/2013 n. 8656;
– Trib. Napoli 9/6/2008 n. 6760;
– Trib. Napoli 29/5/2008 n. 6284.
La Suprema Corte di Cassazione, su tale punto, non si è ancora pronunciata.
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